Una nuovo episodio della gurra commerciale tra Cina e il resto del mondo, sempre più esposto alla concorrenza di un Paese che sfrutta la lentezza legislativa occidentale.
Il 16 agosto 2022, il presidente Biden ha convertito in legge l’Inflation Reduction Act, definito come l'affermazione della leadership americana nell’affrontare la minaccia esistenziale della crisi climatica. Retorica ambientale a parte, la legge prevede in campo automotive finanziamenti che possono essere utilizzati per riattrezzare, espandere o creare un impianto di produzione negli Stati Uniti e per produrre veicoli a tecnologia avanzata.
L’Inflation Reduction Act ha cambiato dunque il modo in cui funzionano i crediti d’imposta per i veicoli elettrici. Con l’obiettivo di ridurre la dipendenza dell’America dalle batterie e dai materiali cinesi, la legge incentiva infatti le Case a procurarsi materiali da Paesi conformi al libero scambio e a costruire veicoli elettrici in Nord America.
Ora la Cina si è appellata al WTO, l'organizzazione mondiale del commercio, esprimendo la sua insoddisfazione nei confronti della legge. Il ministero del commercio asiatico ha affermato che la legge è discriminatoria e distorce gravemente le catene di approvvigionamento.
Incidentalmente ciò è esattamente quello che gli Usa contestano alla Cina (e che l'Europa dovrebbe iniziare a fare se vorrà ancora avere un'idustria dell'auto degna di questo nome), affermando che è stato il Paese asiatico ha utilizzare per primo politiche scorrette per manipolare il mercato globale a proprio favore. Di fatto l’industria dei veicoli elettrici in Cina è cresciuta rapidamente negli ultimi anni proprio grazie a sussidi governativi e altri incentivi locali, che hanno stimolato ricerca e sviluppo di nuovi modelli e tecnologie.
I legali esperti del settore affermano che il ricorso cinese potrebbe non essere così ineccepibile, anche se obiettivamente l’Inflation Reduction Act sembra violare le regole del WTO, come già sottolineato anche dalla UE.
Curioso che proprio chi potrebbe pagare il prezzo più alto nel confronto con il potente apparato produttivo cinese si preoccupi invece di difendere il diritto al di là delle sue ricadute pratiche. D'altronde la filosofia prettamente ideologica di questa UE da anni impone obblighi che non fanno che deprimere la capacità commerciale e progettuale del Continente, divenuto ormai solo attore di secondo piano.
C'è da domandarsi se gli organismi comunitari siano davvero in grado di affrontare le sfide che si prospettano.