27 marzo 2018

Per Toyota il futuro è CVT









Toyota, dopo la decisione di tagliare nettamente gli investimenti sul Diesel, sta investendo in tecnologia per ottenere anche dai motori a benzina percorrenze paragonabili a quelle dei motori a gasolio. In quest'ottica, oltre ai miglioramenti sulle unità motrici ha sviluppato una nuova versione del CVT, il cambio a variazione continua, che consente di ridurre al minimo le perdite passive grazie al (teoricamente) infinito numero di rapporti che la soluzione consente. I giapponesi sono abbastanza fissati con il variatore e molte Case jap equipaggiano con questa soluzione modelli per il mercato interno che per l'esportazione impiegano invece trasmissioni più tradizionali. C'è però una logica ingegneristica solida alla base della scelta e Toyota ha lavorato sul concetto per ridurne i difetti mantenendone i pregi. Uno dei punti deboli del CVT è lo scatto da fermo. Le vetture così equipaggiate hanno sempre una sorta di inerzia iniziale che porta inevitabilmente il guidatore a premere di più sull'acceleratore per ottenere l'accelerazione voluta, facendo crescere i consumi, particolarmente nella marcia in città. Il nuovo Direct Shift CVT introduce quindi una coppia di ingranaggi che viene impegnata solo nello spunto da fermo o a bassissima velocità e garantisce lo scatto necessario. Non appena la velocità sale, un disinnesto abilita il variatore che può così lavorare in una zona di maggiore efficienza e garantire minori consumi del 6% rispetto al variatore classico. Toyota dichiara inoltre un aumento del 15% del rendimento a parità di performance, mentre la velocità di variazione del rapporto è aumentata del 20% grazie alla riduzione del 40% dell'inerzia delle pulegge, che ora lavorano con una cinghia metallica i cui angoli di accoppiamento con le gole sono scesi da 11° a 9° e consentono minori attriti passivi. Forte della vittoria nella storica battaglia Diesel-contro-ibrido, c'è da aspettarsi che ora Toyota perda ogni remora techno e monti anche sulle vetture europee CVT a bizzeffe. Qundi non storcete il naso perché prima o poi vi toccherà.

26 marzo 2018

Dal video di Tempe emergono i problemi delle auto self driving









La polizia di Tempe, Arizona, ha diffuso il video dell'incidente della vettura di Uber del 18 marzo u.s. nel corso del quale ha perso la vita una donna. La registrazione mostra sia la visuale dal posto del conducente sia quella dell'interno, con la smorfia di sorpresa di Rafaela Vasquez, la safety driver, quando la collisione sta per avvenire. Un paio di commenti sono d'obbligo. La donna che porta a mano la sua bicicletta sbuca praticamente all'improvviso dalla sinistra e credo che, nel caso le condizioni di luce del video corrispondano effettivamente quelle sul luogo dell'incidente, nessun conducente umano sarebbe riuscito a evitare la collisione. Anche se oggettivamente la signora Vasquez non sembrava particolarmente attenta alla strada. Ma qui parliamo di un computer alla guida, che dovrebbe usufruire di tutto il corollario di sistemi di alert e avviso di sicurezza a bordo le cui meraviglie vengono strombazzate ogni giorno nelle pubblicità delle varie Case. I più recenti ritrovati di Bosch &Co sul rilevamento pedoni, frenata automatica etc. possibile non fossero installati su un'auto a guida automatica? Con un sistema all'infrarosso, per esempio, la donna sarebbe stata sicuramente riconosciuta prima dell'impatto e l'azionamento preventivo dei freni avrebbe evitato la tragedia. Insomma c'è ancora molto da mettere a punto sulle self driving car, a partire dal modificare il criterio base del concetto: quello secondo il quale invece di fare attenzione a cosa succede fuori dall'auto ci si possono fare i fatti propri.

23 marzo 2018

Self snowplow are coming











Se è sulle auto self driving che si concentrano interessi economici e di svolta esistenziale è forse sui temi più legati all'uso in ambiti ristretti che la tecnologia potrebbe avere risvolti positivi e vantaggiosi. Ne è un esempio una società che costruisce spazzaneve, la Yeti Snow Technology, divisione della norvegese Semcon, che ha annunciato l'altro giorno come sia prossimo al lancio sul mercato uno spartineve completamente automatizzato. Il veicolo è stato sperimentato all'aeroporto di Fagernes, in Norvegia (video), ed è in grado di ripulire 357.500 m2 all'ora dalla neve senza guida umana. Gli autocarri sono dei Mercedes convenzionali e su essi viene installato il sistema di guida automatizzato, che tramite un modem 4G viene fornito prima dell'avviamento del programma di movimento nell'area prevista. Dal centro di controllo gli operatori possono comunque sovrintendere al movimento del veicolo e modificarne le traiettorie in tempo reale. Su una pista (vuota) i problemi di interazione con altri (mezzi, biciclette, pedoni) sono del tutto assenti. Solo vantaggi, quindi. Certo, bisogna vedere quanto costa. E cosa fare degli autisti che, improvvisamente, si trovano disoccupati.

Meno distributori, più inquinamento







Mentre nel 2017 la domanda di petrolio in Usa è stata la più alta degli ultimi anni, il numero di pompe di carburante è in costante calo. A Manhattan, New York, sembra siano rimasti solo 39 distributori e sotto la 23ma non ce n'è più nessuno e se nella Garnde Mela, visto il caos circolatorio, la rinuncia all'uso del mezzo privato è concepibile, non lo altrettanto nel resto degli States, dove comunque tra il 2002 e il 2012 il numero di stazioni di servizio è passato da 170.018 a 156.065. Emerge quindi un sostanziale contrasto tra l'aumento della domanda e la diminuzione dell'offerta, spiegabile soltanto con la speculazione immobiliare che costruisce edifici al posto di stazioni di servizio. In Europa le cose vanno allo stesso modo e non certo per l'incalzare della trazione elettrica. La crisi è iniziata sia con la suddetta speculazione sia con la diffusione dei distributori legati ai centri commerciali, che hanno attirato gli automobilisti con i prezzi scontati. Ora, se aggiungiamo al conto che l'introito legato alla vendita di carburanti in una stazione è generalmente pari al 30% del totale, ecco spiegata la scomparsa sempre più esplicita dei vecchi distributori. Di fatto tutte le opzioni legate alla meccanica un tempo presenti nelle aree sono state giubilate dalla tecnologia: è raro che un'officina generica sia in grado di compiere diagnosi su sistemi elettronici molto complessi e la vendita di accessori è ai minimi. I minimarket annessi inoltre possono forse reggere il confronto con le grandi catene in Paesi come l'Irlanda, ma in gran parte del Vecchio Continente non c'è storia. Ormai i distributori sono più che altro nelle periferie e la loro individuazione non sempre immediata. Tutto questo porta a un inevitabile aumento della circolazione parassita, quella che non serve a un reale spostamento ma solo ad alimentare il mezzo su cui si viaggia, cosa che a sua volta aumenta  ovviamente inquinamento e ingorghi. La logistica dei distributori impatta quindi direttamente sulla qualità dell'aria e le amministrazioni locali dovrebbero pensarci, quando concedono autorizzazioni edilizie con cambiamento di destinazione d'uso. L'impegno per migliorare la qualità dell'ambiente dev'essere globale e tener conto anche di questo, altrimenti è solo aria. Fritta.

22 marzo 2018

Gli inglesi ridanno virtù al Diesel





A fronte della campagna religiosa anti-Diesel fatta di incompetenza e approssimazione si registrano anche notizie che potrebbero risollevarne le sorti. Questa viene dalla UK e riguarda una ricerca svolta dall'università di Loughborough che ha trovato un a soluzione apparentenmente semplice per annullare in pratica le emissioni di NOx dagli scarichi dei motori a gasolio. Il sistema si chiama ACCT, acronimo di Ammonia Creation and Conversion Technology e il suo sviluppo è talmente avanti che parecchie Case si sono già interessate al progetto. Consiste in un reattore (chimico) inserito nel sistema di scarico che converte l'AdBlue (l'additivo a base di urea disponibile in molti distributori) in un fluido ricco di ammoniaca che si lega alle molecole di ossido di azoto convertendole in azoto e acqua. L'efficienza del sistema è molto elevata e raggiunge il 98%, a fronte del 60% dei sistemi SCR attualmente in uso, perché la reazione di scambio avviene anche a bassa temperatura e quindi funziona sin dall'avviamento del motore con la massima efficacia. Ora, visto che abbiamo importato dagli Usa la paranoia sugli ossidi di azoto dimenticandoci che il Diesel è quello che produce meno CO2, preoccupazione che fino a ieri era l'unica del Vecchio Continente, lo studio di Loughborough potrebbe essere la chiave di volta per evitare il pensionamento dei costosi sistemi di trattamento delle emissioni dei propulsori di più recente progettazione. E visto che siamo in ambito GB, suggerirei ai costruttori di fare due chiacchiere anche con James Dyson, quello degli aspirapolvere, e di valutare il suo sistema di eliminazione del particolato. Forse si possono salvare capra e cavoli in modo intelligente.

Finito un "cartello" ne inizia un altro



Tedeschi e giapponesi dopo tanti anni si trovano ora finalmente dalla stessa parte riguardo l'evoluzione dei motori a combustione. Se un tempo i primi erano schierati a favore del Diesel e i secondi dell'ibrido, ora anche i teutoni sono passati all'assistenza elettrica, mettendo da parte la lunga era del cartello Diesel. A essere sinceri l'incipit europeo parte dal gruppo scottato dal Dieselgate e non tutti i costruttori del Paese sono d'accordo sul pensionare la soluzione più redditizia dal punto di vista termodinamico, ma improvvisamente si scoprono tutta una serie di miglioramenti per il motore a benzina che prima sembravano impossibili. Potenza della ricerca in tempo di guerra? Oppure semplicemente fine dell'appiattimento (leggi cartello) su una sola soluzione per ridurre i costi di sviluppo? Propendo nettamente per la seconda ipotesi, ma nel frattempo devo dar conto di un nuovo propulsore di VW che, nel filone della new age priva di gasolio propugnata dal marchio, promette meraviglie. Si tratta dell'1.5 TSI ACT che è stato omologato sulla Golf per un consumo medio di 4,8 l/100 (20.8 km/l).



Per ottenere ciò sono state impiegate tutte assieme tecnologie già note, un po' la stessa procedura di Toyota con il nuovo 2 litri: quindi ciclo Miller, deattivazione dei cilindri, turbo a geometria variabile e tecnologia microibrida. L'aumento di efficienza del 10% è stato ottenuto riducendo da 150 a 130 CV la potenza massima del motore da 1.498 cm3 e impiegando il ciclo Miller, un sorta di artificio techno che prevede la chiusura anticipata delle valvole di aspirazione per aumentare in termini relativi la fase di espansione grazie anche all'aumento del rapporto compressione a 12,5:1. Per compensare la minor quantità di aria in aspirazione ecco il turbo a geometria variabile, che anche a basso regime ne spinge di più nel cilindro, mentre non appena la centralina si accorge che la richiesta di potenza è limitata, tra 1.400 e 4.000 giri provvede a deattivare i due cilindri centrali e, se si mantiene la velocità pcostante un po' più a lungo, a spegnere del tutto il motore disaccoppiandolo dalla trasmissione se la vettura è dotata del DSG. Il sistema microibrido entra in gioco ora, fornendo elettricamente tutte le funzioni accessorie a motore spento. VW sostiene che questa soluzione sarà impiegata su altre vetture, con potenze maggiori e combustibili gassosi, bene. Un nota.  Fino a poco tempo fa solo la Porsche 911 Turbo era dotata di turbo a geometria variabile, soluzione molto costosa (dicevano) per i benzina date le maggiori temperature in gioco, Ora lo scopriamo su un'auto di grande diffusione e costo (relativamente) limitato e ci viene detto che può garantire grandi vantaggi. Lo sappiamo, ma perché solo adesso? Starà mica nascendo un altro trust?

21 marzo 2018

Nissan rilancia la Z





Ogni modello di auto ha un ciclo vitale, al termine del quale il management deve decidere se ripresentarlo, rinnovarlo oppure toglierlo dal listino. Nel caso della Z, Nissan ha deciso di seguire il mood degli altri costruttori jap e rinfrescare quella che ormai è una sportiva storica per il marchio, pur non estrema come la GT-R. Il prossimo modello, che dovrebbe vedere la luce nel 2019, avrà la piattaforma in comune con la Infiniti Q60, oltre al sistema di trazione ibrido, introdotto per la prima volta sulle Z. Il nome potrebbe essere 400 Z, dato che il motore V6 di 3 litri dovrebbe erogare, appunto, 400 cavalli, con una coppia massima di 475 Nm e la trazione rigorosamente posteriore. Non è sicuro se ci sarà ancora la possibilità del cambio manuale, ma nel 2021 arriverà anche la versione cabrio. E sempre nel 2021 la versione più cattiva Nismo, il cui propulsore avrà un incremento di cavalleria a 482 CV e di coppia a 677 Nm, ma soprattutto disporrà della trazione integrale. Un'altra bella macchina che in Italia, grazie al superbollo vedremo raramente.

L'impero dei cloni









Adesso che la Cina ha un nuovo imperatore è probabile che la politica dei cloni continuerà senza alcun freno, sull'onda del ripristino del Celeste Impero. Quindi bando a ogni remora e via con le copie, sostenute addirittura dal ministero dell'industria, secondo le info provenienti dal sito cinese Autohome. Come questa K-ONE, il cui produttore non è ufficialmente noto ma la cui derivazione dalla Mercedes GLC è evidente. La particolarità della vettura, però, è quella che, nell'ansia di copiare quello che per i cinesi è il must di un marchio di prestigio, è stato clonato pure il doppio scarico posteriore. Che c'è di strano? Semplicemente che la K-ONE è elettrica e che quindi i due tubi non hanno alcuna ragione tecnica. L'auto è leggermente più piccola dell'originale, misura infatti 4.100 x 1.710 x 1.595 mm e pesa 1.775 kg; è dotata di un pacco accumulatori al litio realizzato dalla Harbin Coslight Power Co la cui capacità non è però ancora stata comunicata e dispone di un motore a corrente alternata da 40 kW nominali e 96 kW di punta. Le prestazioni non sono però paragonabili all'originale: la velocità massima è infatti di soli 102 km/h, ma probabilmente agli acquirenti cinesi la somigliamza con una vettura della Stella sarà più che sufficiente a garantire l'adeguata gratificazione.

20 marzo 2018

Un 2 litri che spakka da Toyota









La differenza di rendimento tra un motore a benzina e un Diesel dipende dalla termodinamica, ma ciò non vuol dire che l'efficienza del secondo non possa essere migliorata spendendoci dei soldi. Ne è prova il nuovo motore sviluppato da Toyota, un due litri a benzina da 171 CV che vanta un rendimento addirittura del 40%, superiore a querlo dei Diesel impiegati comunemente nell'industria automobilistica. Per dare un termine di paragone, l'efficienza globale del sistema ibrido della Prius è del 41%, solo l'l% più di quanto garantito dal solo nuovo propulsore, di cui peraltro sarà previsto anche l'uso con il supporto di un sistema elettrico. Il miglioramento non è stato ottenuto con cambiamenti epocali ma piuttosto con tutta una serie di improvement sui singoli componenti, oltre al doppio sistema di iniezione, diretta e indiretta e all'elevato rapporto di compressione. Il collegamento alle ruote motrici è previsto avvenga mediante l'uso di un cambio a variazione continua, miglior soluzione per garantire il corretto rapporto di trasmissione, con un nuovo tipo di variatore che prevede anche una trasmissione a ingranaggi per lo spunto, tipico punto debole dei CVT che crea un picco nei consumi. La prima applicazione del nuovo propulsore avverrà sulla nuova Auris, ma la sua estensione sarà in crescita, specie alla luce della cancellazione dei programmi sul motore a gasolio del gruppo jap.

La realtà virtuale di Seat












La realtà virtuale è entrata pienamente nell’industria automobilistica, serve infatti a rendere più facile l’approccio alla sperimentazione e prototipazione riducendo i costi e accelerando notevolmente il time to market dei nuovi prodotti. Sono stato alla sede Seat di Martorell, in Spagna, per vedere come il sistema sviluppato dal marchio spagnolo a partire dal secondo millennio sia ormai parte della progettazione e migliori la produzione. La struttura che si occupa della realtà virtuale è collocata centralmente nell’area produttiva e ha accesso a ogni dipartimento; i dati sono memorizzati nel server e ad essi hanno accesso tanto le divisioni del sito spagnolo quanto le altre strutture del gruppo, indipendentemente dalla loro collocazione geografica. La tecnologia legata alla realtà virtuale ha fatto grandi passi avanti negli ultimi anni e dai caschi grandi e pesanti si è passati a visori leggeri e comodi da indossare, mentre il prezzo dei singoli componenti è proporzionalmente sceso sino all’attuale ordine del migliaio di euro per gli equipaggiamenti in uso. Seat ha scelto comunque di non destinare grandi importi all’updating dell’hardware poiché il progresso continuo li rende obsoleti in breve tempo.



L’utilizzo prevalente del sistema è quello che permette di simulare una vettura in tutte le sue componenti e di agire su essa come se fosse reale; su un’auto virtuale ci puoi salire e valutare così ogni componente da diverse angolazioni. In ambito progettuale si studiano diverse soluzioni tecniche e calcolano gli stati di sforzo delle diverse componenti, il tutto prima di arrivare ai prototipi, riducendo così il tempo di messa a punto e contemporaneamente valutando la possibilità effettiva di uso del particolare. Si fanno inoltre simulazioni di montaggio (video) che risultano del tutto aderenti alla realtà e che individuano le criticità in modo da poterle correggere. Gli operatori della catena di montaggio si esercitano quindi nello studio virtuale per apprendere la corretta modalità di montaggio di un particolare, mentre chi si occupa dello sviluppo può rendersi conto di come le operazioni richieste possano essere migliorate e a prove di errore. Attualmente i test stradali sono ancora necessari, ma il futuro potrebbe prevedere l’eliminazione delle fasi “reali” sino alla costruzione dei prototipi. E l'auto vera sarà così solo l'ultimo atto della catena.

Uber colpevole di autonomia









Ne stanno parlando tutti: in Arizona è avvenuto il primo incidente mortale che abbia coinvolto un'auto a guida autonoma. Una donna ha attraversato la strada e la vettura non è riuscita a a evitare l'impatto, nonostante ci fosse al volante l'operatore previsto dalle procedure di Uber. Il sinistro è avvenuto a Tempe, località che a questo punto sarebbe meglio evitare, poiché già un anno fa una Volvo autonoma di Uber era stata coinvolta in un incidente che allora non aveva avuto conseguenze nefaste per alcun occupante ma solo danni ai mezzi (la Volvo si era coricata su un fianco, foto). Uber ha quindi sospeso i test in corso (l'Arizona è lo stato più avanti nella sperimentazione di livello 5) e sono in corso accertamenti per determinare la dinamica dei fatti. Waymo però continua il suo servizio/test, quindi occhio ad attraversare le strade perché una self driving car potrebbe essere in agguato. Non voglio certo fare dello spirito su una tragedia, ma mi sembra si stia entrando in un'ottica tipo prima rivoluzione industriale, quando un certo numero di operai tritati nei telai era considerato a fisiologico per il progresso della tecnologia. Oggi non abbiamo bisogno di auto autonome, si tratta piuttosto di una necessità indotta dal business di Case che debbono trovare un grimaldello per garantire la loro esistenza futura. Il fatto che gli automobilisti siano poi sempre più distratti dalle diverse connessioni di cui dispongono andrebbe semplicemente represso con durezza dalle forze dell'ordine, decisamente più efficace che pensare a una costosissima auto che fa a meno del conducente, ma la cui affidabilità, lo iniziamo a vedere, è tutta da provare. Guidare è un impegno, non un'attività accessoria e occorre farlo con attenzione e responsabilità. Altrimenti usate i mezzi pubblici. Meglio per tutti.

19 marzo 2018

Ford Mustang GT; american duty

















































"Le muscle car Usa? Cassoni che non stanno in strada";
luogo comune fino a un po' di tempo fa dalle nostre parti. Beh, provate
una Ford Mustang e ne riparliamo. Sì, perché quest'auto è un concentrato
di energia e raffinatezza costruttiva di altissimo livello, capace di
divertire come poche e con un rapporto qualità/prezzo assolutamente
imbattibile (siamo attorno ai 50.000 €). La prova si svolge in Costa Azzurra e a Nizza piove a dirotto; che sfiga. L'obiettivo è infatti
quello di farsi un giro come si deve con la GT, quella con il V8 di 5
litri, ma tutta quell'acqua mette una
seria ipoteca sulla possibilità di sgasare a fondo. Così
quando affronto il percorso con la manuale a 6 marce premo
l'acceleratore con cautela e la Mustang obbedisce, delicata e gentile.
Ma mi fermo subito sotto un'ampia tettoia per darle un'occhiata.



La mia Mustang è Orange Fury con i cerchi neri lucidi (si può scegliere in 13 tinte con 4 tipi di ruota), vistosa ma mi piace. Il lungo cofano con gli sfoghi d'aria scende verso il classico frontale aggressivo con i fari a sviluppo orizzontale; al centro della griglia il cavallino. Inferiormente lo splitter è stato oggetto di un accurato studio che ha permesso di aumentare il carico aerodinamico per garantire la stabilità dell'asse anteriore ad alta velocità. Lateralmente è la solita pony car con la linea discendente del tetto in family feeling, che termina nello spoiler sul cofano posteriore. La coda con l'inserto nero centrale e un accenno di diffusore ha gli iconici sei gruppi ottici a parentesi e inferiormente i quattro scarichi che, vi assicuro, non sono lì solo per far scena. Cerchi da 19 con pneus 255/40 davanti e 275/40 dietro, freni Brembo.



Dentro il sedile Recaro (optional) ti avvolge alla perfezione e l'ergonomia è ottima; il volante a calice con il cavallino al centro è d'epoca nella forma ma moderno nella multifunzionalità e nelle regolazioni. Il cruscotto a Led colorati si configura a seconda della modalità di guida selezionata, con indicazioni via via più immediate sulle caratteristiche che servono, chiaro e leggibile. Al centro lo schermo touch da 8 pollici dell'infotaiment, sotto i comandi accessori: il più importante è quello che regola la modalità di guida, Comfort, Snow/wet, MyMode (regolabile a piacere), Sport, Track e Drag Strip e agisce su sterzo, amortizzatori a controllo elettronico, erogazione del motore e sound allo scarico. Ci sono poi alcune features tipicamente Usa, come quella che evita i colpi di tuono dagli scarichi all'avviamento per non disturbare i vicini, o il pulsante di avviamento che si illumina di rosso alla chiusura della porta e lampeggia 30 volte al minuto, come il cuore di un pony a riposo.



Beh, basta con il lampeggio e diamoci dentro. Il cambio è preciso e corto negli innesti, con una perfetta sincronizzazione in scalata; peccato che il punta/tacco sia impossibile dato il dislivello tra i pedali. Il motore è semplicemente esagerato. Passa da un educato borbottio in Comfort al rombo di un'auto da corsa in Track ed eroga i suoi 450 cavalli a 7.000 giri, ma allunga fino a 7.400. La coppia massima è di 529 Nm a 4.600 giri con un'erogazione talmente progressiva che anche sotto la pioggia battente non ci sono perdite di aderenza importanti, anche perché il controllo di stabilità le tiene a bada. Prendo confidenza e mi accorgo che è un motore molto sportivo che ama gli alti: per andare forte devi tenere le marce basse, vista la lunghezza dei rapporti, e insistere fino a superare i 4.000. Allora la Mustang ti spara in avanti come una palla di cannone e lo 0-100 dichiarato di 4,6 secondi è del tutto credibile; la Vmax è invece autolimitata a soli 249 orari. Alzando il ritmo passo in Sport e poi in Track, con il controllo di trazione disinserito. Sembra un azzardo, ma hai tutta la potenza sotto il piede destro con una regolazione millimetrica e precisissima, quindi le perdite di aderenza non ti colgono impreparato. Lo sterzo è altrettanto preciso e le traiettorie impostate vengono mantenute in modo sano, senza che l'auto ti prenda sotto all'improvviso. Con la taratura track le sospensioni sono rigide ma riescono ancora a copiare l'asfalto e puoi spingere di più gestendo in tranquillità le piccole scodate. I freni sono eccellenti, potenti, resistenti e con un pedale duro che ti consente il dosaggio preciso; un'auto davvero generosa.



Il giorno dopo passo alla versione con il nuovo cambio automatico a 10 marce. Il motore è lo stesso, con l'erogazione resa perfetta dal doppio sistema di iniezione, diretta ad alta pressione e indiretta nei collettori. Ci sono auto più potenti, più techno, ma la Mustang è diventimento puro, sano oserei dire, una formula assoluta e unica. La tonalità di scarico la senti nel petto e finisci per non usare mai l'ottimo impianto audio, perché la vera colonna sonora la fa lui. Lo 0-100 si può coprire ora in 4,3 secondi grazie ai rapporti ravvicinati, mentre gli inserimenti sono rapidissimi e privi di contrasto. Difetti: a bassa velocità qualche volta c'è un singhiozzo nel tiro/rilascio, mentre in Track con il cambio in S le scalate sono troppo frequenti, perché tengono il motore sempre attorno ai 5.000 giri; utile solo in pista. Oggi non piove e posso tirare a fondo con il contagiri a barra in evidenza, sfruttando gli allunghi nei sorpassi. Gli automobilisti francesi fanno qualche resistenza, ma non ce n'è, appena intravedo uno spiraglio l'auto schioda i tombini e passa. Prima di tornare alla base provo l'ultima feature, la Drag Strip. Tiene le ruote anteriori frenate mentre le posteriori sgommano e visualizza nel cruscotto l'albero di luci delle gare di accelerazione Usa. Poi parti a scheggia, pure fun. Normale dunque scendere con un sorriso un po' ebete stampato sul volto. Altre auto hanno prestazioni ultra, ma questa è facile, onesta, divertente, gratificante. Una Mustang insomma. Maledetto superbollo.



14 marzo 2018

Il lancio più lento della storia





L'attesa infinita della nuova Supra sembra sia giunta al termine, ma anche no, vista la lentezza non solo dello sviluppo del modello ma anche delle info al riguardo, costantemente scompigliate dalle voci di somiglianza tecnica o meno con la prossima BMW Z4. Possiamo però almeno fare il punto allo stato attuale. Tutto inizia con i primi contatti con BMW che vuole rieditare la Z4 ma senza spendere troppo poiché si tratta di un modello di nicchia. La partnership con il marchio bavarese  arriva ufficialmente nel 2013 e il progetto A90, codice interno del marchio, comincia lo sviluppo. Il team di progettisti prende ampio spunto dalla vecchia Supra ma tiene in conto anche il know how maturato con la GT-86, nata bene con il motore boxer Subaru ma mai evoluta davvero a livello di potenza forse proprio per il contemporaneo procedere (!?) del progetto Supra. Lo schema tecnico dell'auto è quello della sorella minore (Toyota annuncia comunque che la rigidità della scocca è doppia), complicato però dall'intenzione di montare un 6 in linea, cosa che cambia decisamente assetti e bilanciamento rispetto al 4 boxer. Del resto la piattaforma comune con BMW prevede già questa archiettura motore, così come la struttura a 2 posti secchi. Ma mentre la Z4 sarà una coupé/cabriolet, la Supra verrà prodotta soltanto con carrozzeria coupé, e pur facendo a meno della struttura transaxle per il cambio, ritenuta troppo complessa e costosa, avrà una ripartizione dei pesi al 50% su ciascun asse. Per quanto riguarda il motore, sembra confermata la presenza di un sei in linea turbocompresso e solo in futuro verrà valutata un versione con supporto ibrido. Per quanto riguarda le corse, la versione racing Gazoo è stata realizzata secondo le specifiche GTE che sono praticamente le stesse delle GT Le Mans e ciò prelude a un'ampio supporto d'immagine alla versione stradale.

E vedere l'effetto che fa















"Si potrebbe andare allo zoo comunale", cantava Iannacci, e se per andarci usi un taxi autonomo Waymo probabilmente ci arriverai dormendo, suggerisce il video diffuso dalla società in occasione di uno speech del ceo John Krafcik. Le riprese sono state fatte in Arizona, ove Waymo ha avuto il benestare governativo per il primo servizio di auto pubbliche a guida autonoma, effettuato con le Chrysler Pacifica opportunamente attrezzate. A vedere il filmato, quindi, pare che l'effetto predominante sia di un notevole rilassamento per alcuni e di grande divertimento per altri, ma in ogni caso il viaggio si tramuta in una sorta di space in time che puoi occupare come preferisci invece di stressarti nel traffico. Due considerazioni. Pare che il traffico di Phoenix sia del tutto diverso da quello di Los Angeles o New York e abbastanza letargico. La tranquillità degli occupanti è quindi tutta da rivedere se attorno a loro sfrecciano taxi indemoniati e furgoni che corrono a fare consegne; ma concedo il beneficio del dubbio. Il fatto che ci si sia ridotti a dover approfittare di una corsa in taxi per avere un attimo di tranquillità la dice lunga sul livello di paranoia raggiunto nella nostra società, ma ho il sospetto che, una volta fatta l'abitudine al servizio autonomo, anche l'abitacolo dell'auto si tramuterà in una sorta di ufficio in sede staccata; no buono. In ogni caso le auto self driving sono ormai una realtà che presto vedrà una notevole diffusione a meno di evidenti défaillance che potrebbe sorgere, cone dicevo, nel traffico congestionato. Magari ci potrebbero aggiungere pure un taxi driver robotico come quello su Marte in Total Recall, sperando non trovi poi nessuno che gli fa fare una brutta fine come Quaid/Schwarzenegger.

12 marzo 2018

Geely si è stufata di Proton





Geely Auto Group è una società in netta espansione, il 23 febbraio u.s. è diventata infatti il principale azionista di Daimler AG con l'acquisto del 9,69 delle quote per un importo di 7,3 miliardi di dollari. Il tutto oltre al già noto controllo di Volvo in capo alla società Lynk&Co (che si occupa dei segmenti alto di gamma) e a una quota molto significativa della malese Proton, la quale nel gioco di scatole cinesi (ehehehe) controlla(va) a sua volta Lotus. L'imperfetto è d'obbligo poiché il 51% del marchio inglese è infatti ora ufficialmente passato in mani cinesi, ulteriore incremento dopo la recente acquisizione del 49% delle quote dal gruppo malese Etika. Se vi racconto tutto ciò non è per seguire la storia evolutiva di Li Shufu, miliardario tycoon e ad del gruppo cinese, ma per dare conto di una sorta di usa e getta praticato a danno di Proton, il cui futuro è più che mai incerto e la cui appetibilità, che ha portato Geely a rilevare il 49,9% delle sue quote nel 2017, appare ora piuttosto strumentale. Li Shufu ha infatti dichiarato che i vertici del gruppo malese non hanno le idee chiare sui piani per il futuro e, in soldoni, che lui (quindi Geely) si sta stufando. Attualmente sono state fatte offerte congiunte da parte di PSA e dalla stessa Geely per fornire a Proton quella struttura di sviluppo di cui è carente per sostenere il mercato, ma le decisioni finali sono sempre in capo al management malese  e in particolare a un altro miliardario, Syed Mokhtar Al- Bukhary, che gode della piena fiducia del governo, il quale intende guadagnarsi un ruolo nel mercato auto del sud-est asiatico con il brand. Riassumendo, Geely ha avuto quel che voleva e potrebbe anche disfarsi delle sue quote; PSA invece attende la decisione di Proton sullo share di tecnologia e Tavares ha detto che vuole una risposta entro la primavera. I malesi sanno bene che senza un partner di livello il loro futuro, nonostante la prosopopea tipica dei Paesi produttori di petrolio, è molto incerto e che dovranno proprio darsi una mossa. Come dice Li Shufu.

Corsi e ricorsi






Le Aston Martin attuali montano tutte V8 o V12, aspirati o turbo. E' dalla DB4 del 1958 che la Casa (ora) anglo/italiana non dispone più di un motore a sei cilindri in linea in gamma. Ma le cose potrebbero cambiare, alla luce delle dichiarazioni di Matt Becker, responsabile dell'engineering del brand, e dell'accordo di fornitura di propulsori con AMG. Nel 2016, infatti Mercedes ha sviluppato un 6 in linea di 3 litri che erogava alla presentazione 408 CV, saliti con la cura AMG per la CLS 53 a 435, più i 21 addizionali garantiti dalla struttura mild hybrid che usa il volano-alternatore a 48 V per un contributo addizionale oltre allo start&stop. E proprio un test effettuato con la CLS 53 ha particolarmente ben impressionato Becker, che non ha escluso un allargamento della fornitura di motori AMG anche al 6 in linea per il modello base DB7. In Gran Bretagna il fascino del 6 non è mai tramontato e se le prestazioni sono quelle garantite dalla coppia complessiva di 765 Nm è certo che la vettura non sfigurerà certo a livello prestazionale con le sorelle più dotate quanto a cilindri. Inoltre un ritorno all'architettura delle auto di James Bond non può che giovare al fascino del marchio.

09 marzo 2018

Falla nel serbatoio!





L'ultimo legame conosciuto tra automobili ed effluenti umani è quello dell'urea, la molecola utilizzata dai convertitori di NOx che fanno il pieno di AdBlue. Il legame è del tutto chimico, perché l'urina contiene, appunto, l'urea, composto di azoto necessario alla reazione di riduzione. Ma secondo un team di ricercatori dell'università del West of England a Bristol presto la connessione tra urina e produzione di energia potrebbe essere più diretta. Il team ha sviluppato infatti una Microbial Fuel Cell (MFC), una cella a combustibile che sfrutta la capacità di alcuni ceppi di batteri di produrre elettricità a  partire dall'urina. I batteri sono assai più efficienti nella trasformazione energetica dei sistemi attualmente in uso, dato che il tasso di conversione raggiunge il 96% e una cella MFC può avere un rendimento del 60%. La tecnologia è ancora agli inizi e le celle oggi producono poca corrente, un'uscita stabile di 500 mW a 2,8 V, ma l'idea è assai promettente, anche perché la materia prima non solo è a costo zero, ma è pure un effluente da depurare e trattare prima di rimetterlo nell'ambiente, mentre con l'utilizzo nelle MFC si otterrebbe un sottoprodotto azotato perfetto come fertlizzante. Per ora l'energia prodotta dalle celle è stata sufficiente a illuminare gli urinatoi installati nel campus per reperire la materia prima, ma l'evoluzione del concetto potrebbe portare a fonti sicure di energia elettrica anche in zone prive di sole o vento, ma fornite di pub. Inoltre, l'urina miscelata con alcool ha mostrato di funzionare altrettanto bene come combustibile vero e proprio nei motori, il che la renderebbe utile anche in questa fase di passaggio verso la motorizzazione 4.0. Forse il concetto di organic fuel diventerà letteralmente più umano.

Surfing Tesla





Che l'economia sia tutt'altro che una scienza devo averlo già detto. Investimenti e fiducia nell'alta finanza sono questioni a volte addirittura umorali, che tuttavia possono avere impatti estremamente positivi oppure devastanti sulle strutture materiali cui fanno capo. In campo auto, l'avrete già capito, l'esempio emblematico di ciò è Tesla. Il suo andamento di borsa ha fatto segnare un record dopo l'altro e la scorsa primavera il valore ha superato i 51 miliardi di dollari, un miliardo più di GM. Un andamento che, pur alla luce delle 101.000 Model S e X vendute nel 2017 a fronte, per esempio, delle 84.000 Classe S di MB, non giustifica una tale fiducia da parte degli investitori. Anche perché per ciò che attiene il margine operativo la società perde e parecchio. Nel primo trimestre del 2017 Tesla ha speso più di 500 milioni di dollari e il trend non è cambiato, tanto che gli analisti di Wall Street prevedono che in mancanza di cambiamenti radicali nel flusso entro agosto Tesla avrà le casse vuote. I problemi vengono tutti dalla Model 3, la vettura che deve lanciare Tesla nell'orbita dei costruttori di massa con un prodotto affordable e non top price come le altre vetture in gamma. Tutto ruota attorno alla capacità produttiva dello stabilimento, che incontra un problema dopo l'altro e attualmente non riesce ad andare oltre le 1.550 auto costruite negli ultimi tre mesi del 2017 quando lo standard dovrebbe essere di 20.000 al mese, dato che però la società garantisce raggiungibile entro luglio. Il fatto è che se il tasso di spesa non cala (e non può calare finché non siano raggiunti gli obiettivi previsti) a settembre Tesla avrà bisogno di un ri-finanziamento per oltre 2 miliardi di dollari, che alla luce dell'arrivo sul mercato delle prime competitor degli altri marchi (Porsche, Audi, Jaguar) potrebbe essere assai più oneroso che in passato. Le difficoltà dello stabilimento californiano di Freemont stanno nella mancanza di know how dell'azienda riguardo la costruzione in acciaio delle Model 3 (S e X sono in alluminio) oltre alla ridotta capacità produttiva della Gigafactory (accumulatori) in Nevada, che a seguito di un errore di struttura fornisce assai meno batterie del necessario. Insomma Musk sta surfando tra attuali difficoltà oggettive e futuri guadagni per gli investitori per alimentare il suo sogno e con la politica dei rilanci in altri settori, Space X e Hyperloop su tutti, consolida la sua figura di geniale tycoon capace di affrontare ogni problema con un approccio nuovo e vincente. Da un lato c'è da augurarsi che riesca nel suo intento, dall'altro che non si arrivi a una Omni Consumer Product come in Robocop.

08 marzo 2018

Gli yankee odiano solo i Diesel europei









Se dalle nostre parti pare siano tutti preoccupati (!!) dell'impatto delle auto sull'ambiente, dall'altra parte dell'Atlantico le preclusioni verso il Diesel sembrano eclissarsi quando i veicoli proposti sono di costruzione a stelle e strisce, nel più puro stile protezionistico caldeggiato da the donald. Stridente perciò il contrasto tra il salone di Ginevra e quello di Indianapolis dedicato ai work trucks, dove Chevrolet (assente in Svizzera) ha fatto debuttare la nuova serie Silverado sugli heavy duty delle serie 4500, 5500 e 6500, quelli con i gemellati, per intenderci, tutti dotati del turbodiesel 6.6 Duramax da 350 CV e 950 Nm. Beh, sono camion, direte voi. Vero, ma i nomi in America contano. Silverado è il modello di uno dei truck da loisir più diffusi, avversario da sempre del Ford F-150. E in Usa i truck sono del tutto sdoganati dall'impiego come veicolo per il commuting, mentre il mercato del veicolo da lavoro e quello da diporto è del tutto condiviso e dunque per strada di questi veicoli se ne vedono parecchi, acquistati anche per il solo piacere estetico. La scelta di Chevy di chiamare con lo stesso nome work truck e fun truck, quindi, di fatto sdogana l'uso del motore a gasolio, purché made in Usa e bello tosto, anche se i limiti di emissioni per i commerciali di grande stazza sono più rigidi di quelli per i pickup "normali". Un segmento di mercato che l'anno scorso ha fatto registrare 300.000 immatricolazioni e che potrebbe dare nuovo slancio ai Diesel d'Oltreatlantico.

07 marzo 2018

Genève, la décadence





Un'altra edizione del salone svizzero, correndo qua e là per cogliere uno scorcio del futuro di un'automobile che cambia. Ma cambia anche il salone, che per la prima volta mostra spazi vuoti tra gli stand, riempiti alla bell'è meglio con bar estemporanei. Marchi come Opel, DS e il gruppo GM hanno dato forfait, segno che l'interesse (e l'esborso) per un salone non è più così in sync con il business e il marketing, quantomeno per alcuni. Un altro caposaldo che vacilla, come del resto l'intero criterio che sottende una esposizione di automobili. Che per gli addetti ai lavori è tutta una sequela di interviste con i diversi capi e capetti per farsi dire cose di cui alla gente non frega asolutamente nulla e che servono solo alla carriera dei suddetti e alle varie dinamiche aziendali. Un teatrino logoro che mostra ampiamente la corda e che serve solo a riempire pagine di roba del tutto incoerente con quello che accade nella vita reale. Già, la vita reale. Dove non si parla che di auto elettriche. Beh al salone ce n'erano solo due, vere. La Jaguar I-Pace e la Audi Q6 e-tron, svelata però (al pubblico) moolto dopo la nuova A6, vettura del tutto tradizionale: entiende? Riassumendo: un salone che scricchiola, un panorama prudentemente convenzionale, le solite auto immagine e poco di realmente innovativo, parlando di dove va l'auto. Perché, secondo me, non lo ancora nessuno davvero, dove va. Si naviga a vista.



Ah, dimenticavo. La gallery è strutturata come una visita del tutto normale, fatta gironzolando tra gli stand e motivata solo dalla voglia di vedere auto. Quindi le vetture non sono in ordine di sala espositiva (ce ne sono due principali) né di marchio. C'è solo quello che spicca. Come il colore di una Mansory o la riedizione di una Isetta o ancora la prima auto davvero volante. E in fondo ci sono alcune Bizzarrini, Lambo, economiche d'epoca e una splendida vecchia Alfa. Giusto per ricordarci da dove veniamo.






















































































































































































































































































































Solo inutili o anche pericolose?

I test di guida autonoma proseguono tra difficoltà tecniche, indagini, e trascurabile impatto economico. C'è da domandarsi se si tratti ...