28 settembre 2018

Black S, la "bestia" di Infiniti





L'avevamo vista a Ginevra l'anno scorso come concept. Ora è la volta del prototipo, che spara la bellezza di 563 CV: la Infiniti Q60 Black S è l'ibrida più performante del marchio e impiega per la prima volta la tecnologia sviluppata dalla Renault per il suo motore di F1. Sotto il cofano c'è infatti una versione supervitaminizzata del 3 litri V6 biturbo da 400 CV della Red Sport 400, che in questa configurazione acquisisce ben tre motori/generatori per aumentare le prestazioni, sulle quali c'è però ancora silenzio, tranne per lo 0-100 in meno di 4 secondi. In realtà la struttura meccanica è un po' più complessa: i due turbo incorporano infatti un avvolgimento elettrico e sono in grado tanto di recuperare energia in rilascio e frenata quanto di accelerare la girante nelle riprese. Sono questi i derivati dalla F1, gli MGU-H, e rappresentano la tecnologia top di questo tipo di sovralimentazione. C'è poi il terzo sistema elettrico, l' MGU-K, che è collegato alla trasmissione e che funziona come un ibrido tradizionale, recuperando in frenata e contribuendo in accelerazione. Il prelievo techno dalla F1 avviene anche a livello aerodinamico, con l'alettone posteriore in carbonio dal profilo simile a quello dell'ala Monza sviluppata dal team Renault Sport Formula 1, che realizza un ottimale equilibrio tra il carico aerodinamico sul retrotreno e la resistenza al moto. Non ci sono ancora certezze sulle date di produzioine di questa auto-laboratorio, che Infiniti utilizzerà anche in futuro per testare nuove soluzione tecnologiche, ma gira la voce che dal 2020 potremmo vederne qualcuna per strada.

Musk e il delirio di onnipotenza





A furia di farsi canne e twittare, il tycoon americano potrebbe essersi, diciamo, allontanato un po' dalla realtà. Ma, pur celebrato da più parti come il più geniale manager del panorama mondiale , qualcuno presta molta attenzione alle sue mosse, in particolare l'amministrazione federale, che vede nei suoi tweet un modo di muovere capitali non sempre lecito. In particolare, la Securities and Exchange Commission ha promosso giovedì scorso una causa nei suoi confronti proprio per i tweet sul riacquisto delle azioni di cui parlava in estate. Musk aveva dichiarato di voler tornare a una società privata e non quotata in borsa, e aveva avuto contatti con un fondo sovrano saudita per il reperimento dei capitali necessari. Aveva anche preallertato i manager Tesla sull'intenzione di quotare il riacquisto a 420 $ ad azione, al di sopra quindi del valore di 419 $ della chiusura di borsa, dicendo che l'arrotondamento al valore superiore era avvenuto dopo aver preso coscienza "del valore del numero nella cultura della marijuana". Frase criptica e forse irridente che non è piaciuta all'ente di controllo federale. Poi, il 24 agosto fine della storia, comunicato con un altro tweet. Ora, i nostri tweet hanno un valore, quelli di chi si trova alla testa di una società che vale miliardi dollari un altro. E le loro conseguenze si misurano in movimenti di capitale assai massicci, che l'ente federale subodora possano nascondere fini illeciti. Non è una semplice formalità quindi e il commento ufficiale di Musk mostra che la cosa ha preso una brutta piega: "Questa azione ingiustificata da parte della SEC mi lascia profondamente rattristato e deluso. Ho sempre agito nel migliore interesse della verità, della trasparenza e degli investitori. L'integrità è il valore più importante della mia vita e i fatti dimostreranno che non l'ho mai compromesso in alcun modo". In Usa le cause con gli enti federali, anche se sei un multimiliardario, non sono mai da prendere alla leggera.

24 settembre 2018

La Toyobaru cattiva, finalmente?



 



Del potenziamento della Toyota GT 86 (o della Subaru BRZ, perché di fatto la Toyota è una Subaru rebranded) si parla da tempo. Finora i molti passioned del modello sono stati delusi, a meno di non far da sé come gli australiani. Ma da quando Gazoo Racing ha preso in mano il segmento sportivo del marchio jap, l'impostazione sembra cambiata e il prototipo GR 86 HV presentato al salone di Tokyo l'anno scorso potrebbe ora diventare davvero la versione pepata della GT86. Supposizione confortata dal video di Totota España recentemente comparso sul web, che suggerisce una sportiva dotata finalmente di un motore che possa sfruttare appieno le ottime doti della scocca. Nessuna certezza né tantomeno dati tecnici, ma se la Yaris GRMN ha 212 CV, si può ben ipotizzare che il boxer ben pompato arrivi tranqui a 300, rendendo finalmente giustizia a una sportiva che aspetta solo di sbocciare.

Allineati e coperti





Porsche ha subito pure lei, in quanto parte del gruppo Volkswagen, i contraccolpi del Dieselgate. Le sue vetture equipaggiate con motori a gasolio sono quindi una spina nel fianco e rappresentano una sorta di memento del fattaccio; cattiva pubblicità per un brand che si ritiene puro nella sua filosofia automobilistica. Quindi fine dei giochi. Dopo le parziali dichiarazioni di febbraio, ora è lo statement di Oliver Blume, ad del marchio, a recitare il de profundis per il Diesel. La Cayenne offre già solo l'alternativa ibrida, Macan e Panamera seguiranno presto la sua strada con l'eliminazione dal listino dei modelli incriminati. Porsche d'ora in poi produrrà solo auto con motori a benzina e varianti ibride, con l'ovvio orizzonte delle elettriche in prospettiva; l'anno prossimo arrivarà infatti la Taycan a batterie. Fine annunciata? Forse, ma anche un dietrofront non privo di illogicità che piega la tecnologia a politica e populismo e anticipa quelle che saranno prima o poi le scelte dei diversi marchi. Che a farlo sia il gruppo che di fatto sdoganò i motori a gasolio nel lontano 1976 e che più ha investito in questa tecnologia, suona però più come una disfatta che una tardiva presa di coscienza. Che potrebbe essere letto anche come una sorta di fine dell'egemonia tedesca nel settore automotive.  

21 settembre 2018

Reanult lancia le consegne autonome





Non sono mica solo gli americani a credere nell'autonomous delivery. Anche in Europa i progetti si susseguono e Renault ha scelto la guida autonoma in ambito commerciale, in particolare per quanto attiene il cosiddetto ultimo miglio, il passaggio finale della merce dal venditore al domicilio dell'acquirente. Trattandosi di consegne che avvengono perlopiù in ambito urbano e con frequenza crescente esponenzialmente, visto il parimenti crescente successo dell'e-commerce, è proprio qui che trazione elettrica e guida autonoma possono conseguire i maggiori vantaggi. Ecco dunque EZ-PRO, appena presentato al salone dei veicoli commerciali in corso ad Hannover (D). Più che un veicolo tout court un sistema, composto da una persona a bordo che ha il ruolo di supervisione e pianificazione dell'itinerario, oltre che di rapporto diretto con la clientela e di movimentazione fisica delle merci, e di un dispositivo robotico che guida il trasporto, realizzato quest'ultimo su una piattaforma a 4 ruote sterzanti che consente facili manovre anche in spazi ristretti. I veicoli sono progettati per poter viaggiare insieme in modalità platooning (a mo' di convoglio) per i tratti comuni del percorso; ciò consentirebbe di ridurre il flusso di dati necessari alla guida dei singoli robot, poiché nel tratto in comune sarebbe solo il capofila a dover prendere le decisioni inerenti la circolazione. Anche l'operazione stessa della consegna si rinnova: il cliente potrà scegliere se farsi consegnare il pacco dall'operatore oppure se ritirarlo da solo da uno degli armadietti self service di cui è provvisto EZ-PRO. Un prodotto avanzato, che sposa il meglio dell'ecosostenibilità con una diversa accezione dell'impiego di manodopera nel settore del trasporto, evitando o quantomeno riducendo così l'accentuarsi di un problema di disoccupazione dei camionisti che potrebbe divenire urente con la diffusione del delivery autonomo. La scelta elettrica per le consegne cittadine è da sempre la migliore, lo provano i furgoni del latte londinesi in uso dal secolo scorso.

Come ti rovino una Mustang













Gli elaboratori esistono un po' dappertutto, ma sono divisi quanto a stile per aree geografiche. Nell'ex Oltrecortina per esempio, permane una sorta di attaccamento all'immobilismo che ha caratterizzato l'evoluzione industriale di quell'area, che porta anche il mondo dei preparatori odierni a rifarsi a quei canoni, vedi la Kalashnikov. Così la HKM di Cracovia, Polonia, ha presentato la Warszawa M20 GT, special su base Mustang GT 2016 e tributo alla M20 originaria. Necessita un minimo di storia. Il costruttore polacco FSO era (ovviamente) legato al mondo industriale sovietico e in particolare alla GAZ, che costruiva negli anni '40 la Pobeda, executive à la russe, appunto (no comment). Così acquistò la licenza e realizzò dal 1951 al 1973 la M20 con un milleotto a 4 cilindri, caratterizzata da scarsa potenza, elevato peso e consumo esagerato. E forse proprio in quest'ultimo dato sta il lume ispiratore della M20 GT che, costruita sulla base di una Mustang con il V8 da 420 CV, quanto a consumi non scherza. L'impegno è stato notevole, il risultato mica tanto. Lo stile della Mustang può piacere o meno, ma sicuramente non si tratta di un'auto bolsa, almeno non quanto l'originale M20, che deve avere certo estimatori tra i cultori dell'orrido. Ford non ha gradito i riferimenti diretti all'auto donatrice fatti nel suo sito dalla HKM, che avrebbe intenzione di far omologare il prototipo e costruirne un centinaio di esemplari. Ricordo un preparatore russo che da una Yamaha RD 350 '75 da 39 CV ne otteneva dopo il tuning 35; forse alla HKM hanno imparato almeno a lasciar stare la meccanica.

20 settembre 2018

Suzuki Jimny; 50anni e non sentirli























 























Nata nel 1970 con motore bicilindrico a 2 tempi di 360 cm3 da 25 cavalli, la LJ10, antesignana della stirpe, poteva portare i suoi 3 passeggeri ovunque, perché a quel tempo i Suv non esistevano e la piccola Suzuki era stata sviluppata come mezzo professionale, capace di affrontare ogni insidia dell’off road. Quarantotto anni dopo la nuova Jimny rinnova il concetto dell’intramontabile Suzukina, mantenendo intatte le caratteristiche che l’hanno resa famosa nel mondo e con uno stile che richiama proprio la LJ delle origini, particolarmente nel disegno del frontale.



I gruppi ottici circolari con gli indicatori di direzione separati, tutti collocati nella mascherina nera con le cinque barre, sono infatti una sorta di ritorno alle origini e la forma squadrata la rende simpatica e originale nella sua essenzialità. Disegnata in Giappone, la nuova Jimny ha un look che si rifà al suo Dna, la forma che segue la funzione. E’ quindi ancora una fuoristrada tosta, vera, ma piccola, la più piccola del mercato, senza compromessi, senza concorrenti. Essenziale non significa banale. I passaruota allargati e profondi, i paraurti neri resistenti alle abrasioni, le ampie porte squadrate (2 come sempre) e la ruota di scorta montata all’esterno sul portellone che si apre lateralmente le danno una connotazione unica e fuori tempo ma decisamente cool, un’auto che spakka anche (e forse soprattutto) per chi non ha alcuna intenzione di utilizzarla come 4x4 da lavoro.



Essenziale non vuol dire nemmeno povera: la dotazione di serie è quanto mai completa, la Jimny sarà venduta in una sola versione, la 1.5L AWD ALLGRIP GLX full optional a 22.500 €, con gli unici accessori a richiesta della trasmissione automatica, 1.500 € e della verniciatura bicolore, 400 €. Sono di serie le ruote in lega brunite da 15 pollici (molto belle), i cristalli posteriori oscurati, il climatizzatore automatico, il display in plancia da 7” per il sistema multimediale che comprende pure il navigatore e tutta la serie dei dispositivi di sicurezza techno delle vetture più moderne, dalla frenata anticollisione automatica al riconoscimento dei segnali stradali e agli abbaglianti automatici, dai sistemi di assistenza alla guida, ai dispositivi più utili su una off road come lo hill holder e lo hill descent, il primo che blocca l'auto per 7 secondi in salita e il secondo che limita la velocità di discesa a 10 km in 4WD high e a 5 km/h in 4WD low.



Il numero di posti a bordo, quattro, non è cambiato, così come il
faticoso accesso al divanetto posteriore, che avviene dal lato
passeggero con il sedile che si reclina e avanza, mentre dal lato
guidatore si ribalta solo lo schienale. Una volta seduti si sta
abbastanza comodi, ma a ridosso del lunotto. Il che, ça va sans dire,
corrisponde a un’altra delle storiche “mancanze” della Jimny: quella del
bagagliaio, il cui 85 litri sono sfruttabili solo nella parte bassa.





 Sotto il cofano un 4 cilindri di 1.462 cm3 che eroga 102 Cv a 6.000 giri, con una coppia massima di 130 Nm a 4.000, non moltissimi sulla carta ma sufficienti a muovere agilmente la Jimny su strada, dove raggiunge i 145 km/h e fuori, dove la struttura meccanica a ponti rigidi la rende granitica e inarrestabile. La struttura, dicevo prima è tosta,: sotto la carrozzeria c’è ancora un telaio, che è stato irrobustito rispetto alla precedente versione con un rinforzo a X e due barre trasversali. Il motore è alloggiato longitudinalmente nel vano e fa uno strano effetto vederlo lì, un po’ nudo a fronte della “trasversalità” imperante nel mondo automotive. Ma così la trasmissione è tutta in linea e l’efficienza migliore, a partire dalla scatola di rinvio per la trazione anteriore inseribile azionata con una corta leva dietro quella del cambio a 5 marce. Fino a 100 km/h si può passare fluidamente da 2WD a 4WD; per inserire le ridotte occorre invece fermarsi a ruote diritte. Non ci sono blocchi dei differenziali, ma il controllo di trazione ne fa un po’ le veci, frenando la ruota che slitta per trasferire la coppia sull’altra.



Grazie agli angoli caratteristici molto favorevoli, quello di attacco è di 37°, quello di dosso di 28° e quello di uscita addirittura di 49°, La Jimny non teme nessun ostacolo e i ponti garantiscono la trazione anche sui passaggi più ostici, guadi compresi. Le sospensioni, inoltre, filtrano bene gli impatti tanto fuori che su strada, mentre lo sterzo dotato di ammortizzatore è stabile e ragionevolmente preciso, per la sua struttura a circolazione di sfere. Certo la Suzukina non è un mezzo da sparo ai semafori né da curve a manetta: le inevitabili oscillazioni causate dai ponti rigidi e il loro limitato controllo con il volante consigliano andature da buon padre di famiglia, ma la rumorosità contenuta e il buon comfort dei sedili consentono spostamenti ragionevolmente comodi.



Il posto guida è ben realizzato, con il volante centrale rispetto agli scuotimenti laterali in off road (si regola però solo in altezza) e il parabrezza tendenzialmente verticale che limita il passaggio diretto della luce solare. L'ergonomia è OK e posizione del volante e del cambio fanno un po' camioncino, ma molto cool, un'altro dei plus della Jimny, che non è fatta tanto per andare forte quanto per durare nel tempo. Si guida bene ma con calma, perché baricentro alto, ponti rigidi e i 195/80 sulle strade tortuose non sono il massimo quanto a precisione nelle traiettorie. In fuoristrada invece viene fuori il megli della Jimny, che grazie al passo corto, all'ottima motricità e alle ridotte affronta ogni asperità senza colpo ferire. Esattamente quello che ci si aspetta da un'auto destinata alle sfilate modaiole, no?

17 settembre 2018

Anche i miti prima o poi...





Dal 1974 sulla breccia, ma forse il declino è iniziato. Parlo della VW Golf, la cui produzione a Wolfsburg starebbe per essere fermata per una settimana. Sul mercato l'epocale berlina tedesca non tira più come una volta e in più l'intero gruppo è in ritardo con le nuove omologazioni secondo il ciclo WLTP. La mancanza di certificazione per una serie di versioni non è arrivata entro il 1° settembre, data di inizio dell'obbligo di immatricolazione con i dati forniti dal nuovo ciclo di verifica stradale (assai più restrittivo e veritiero del precedente condotto al banco), quindi occorre prendere un po' di tempo. La chiusura, prevista per la prima settimana di ottobre, risente tuttavia più che altro del calo di domanda, un problema notevole per il gruppo visto il posticipo dell'ottava edizione della Golf al 2019; una soluzione resasi necessaria visto che la settimana produttiva di 4 giorni adottata per i mesi di agosto e settembre non ha ridotto a sufficienza lo stock di produzione. Il calo di domanda affligge però anche altri due modelli, Passat e Tiguan. E se per il primo si può invocare la crescente disaffezione verso le auto di linea tradizionale, station wagon comprese, per il secondo è forse la concorrenza interna a decretare il calo di consensi. Sarebbe la prima volta che la politica multimarchio del gruppo Vag entra in crisi.

Dalla Cina la batteria che respira





I ricercatori dello Nankai College of Chemistry a Tianjin, Cina, hanno messo a punto un nuovo tipo di accumulatore che impiega un elemento composito a nanotubi di carbonio realizzato con carbonato di sodio e che per il suo funzionamento assorbe o cede ossigeno dall'atmosfera. La batteria sviluppata ha una capacità di 350 mAh e una densità energetica di 183 Wh/kg, valore che si colloca nel cluster dei prodotti oggi impiegati e assai più basso di quello teorico raggiungibile dai modelli litio-aria e litio-zolfo che VW sta sviluppando, ma ha il pregio di scomporre la CO2 per ottenerne l'ossigeno durante la scarica, restituendolo poi nel processo di ricarica in forma atomica. Una sorta di elemento vegetale artificiale, quindi, (se ce la raccontano giusta) che ha in più il vantaggio del minor costo di produzione del carbonato di sodio rispetto a quello del sodio puro, il quale richiede invece grandi quantità di elettricità per l'elettrolisi delle soluzioni di cloruro o idrossido. Un lavoro ancora sperimentale ma assai promettente, dunque, che in prospettiva potrebbe cambiare definitivamente l'impatto dei mezzi di trasporto sull'ambiente. Comunque è presto per gioire e come su ogni novità scaturita dalle ricerca finalizzata occorre fare la tara sulle ambizioni di profitto che spesso si scontrano con i vantaggi teorici. Un sistema che mima le piante potrebbe dar fiato ai tagliatori dell'Amazzonia, ma non credo che una foresta di batterie avrebbe lo stesso effetto sull'ecosistema.

14 settembre 2018

In sette a cielo aperto





La Range Rover Evoque Convertible è attualmente sola sul mercato nel segmento delle Suv cabriolet. La filiale australiana della Hyundai ha però sviluppato una one off cabrio su base Santa Fe che forse potrebbe essere presa in considerazione anche dai coreani. La vettura è stata realizzata in maniera poco techno, semplicemente tagliando tetto e montantti senza alcuna modifica alla scocca. E' noto però come il tetto abbia un ruolo fondamentale nel mantenere la necessaria rigidità della scocca: in assenza di rinforzi il pianale torce quindi in modo così accentuato da rendere la guida problematica e pericolosa. La Santa Fe cabrio è perciò unicamente una vettura dimostrativa, realizzata principalmente per consentire ai fotografi lo scatto di foto ottimali degli interni e per scopi pubblicitari; non dispone dunque dell'omologazione necessaria alla circolazione su strada. Ma l'aspetto è gradevole e la struttura con tre file di sedili la rende unica; non è detto quindi che non se ne possa ottenere una versione di piccola serie nel prossimo futuro.

Motard in autonomia






















Mentre tutti si affannano a star dietro all'evoluzione della guida auto-autonoma, quella moto-autonoma, in linea teorica assai più complessa, è già reale. BMW ha presentato infatti la prima moto capace di muoversi da sola, una R 1200 GS opportunamente modificata che attualmente ha il ruolo di progetto pilota per una nuova generazione di veicoli. L'intento dichiarato (a cura del capo progetto Stefan Hans nel video in inglese) non è però tanto quello di avere moto che si muovono senza l'ausilio del pilota quanto quello di avere un mezzo capace di intervenire autonomamente nelle situazioni di pericolo per salvaguardare chi guida. Mah, io su questi progetti faccio sempre la tara. Innanzitutto, se già per un automobilista il self driving è la morte di ogni velleità di piacere della guida, per un motociclista è del tutto assurdo. Quale perversione può spingere un pur facoltoso acquirente  a spendere un patrimonio (tutto l'armamentario elettronico costa parecchio) per far divertire un computer? Ma anche in ottica sicurezza ci sono molti lati oscuri: l'equilibrio è un argomento delicato e le mille cause che possono alterarlo sono in agguato su ogni strada, pur sorvegliati da un computer. Più che una innovazione mi sembra un esercizio high tech le cui ricadute sul prodotto si misureranno con gli aumenti di prezzo della gamma giustificati dal richiamo alla sofisticazione tecnologica del marchio. Economy first.

12 settembre 2018

Nuova Cherokee: più a meno



























Nato come costruttore militare, il marchio Jeep è evoluto rapidamente verso le tuttoterreno versatili per tempo libero e viaggi e la Cherokee, nata nel 1974, è la miglior interprete di questa filosofia. Quest'ultima evoluzione mostra una nuova fascia frontale con il cofano in alluminio e fari full Led, ma mantiene ovviamente la tradizionale mascherina a dentoni. Molto riuscita la coda, con i gruppi ottici pure a Led inseriti armonicamente nel portellone alleggerito, dotato di apertura hands free. La Cherokee ha una buona stazza, è lunga 4,623 m ma non è imponente e ci sta nel ruolo di auto elegante, anche se l'ampio spazio nei passaruota la classifica immediatamente come off road. Quattro versioni al lancio, già in atto: Longitude, Business, Limited e Overland; più avanti arriverà anche la Trailhawk, più specialistica per l'off road. I cerchi sono da 18", da 19" sulla Overland; il bagagliaio va da 570 a 1.555 litri, con un vano regolare ma il piano di carico un po' alto.



Dentro un ambiente confortevole e ben rifinito, con ampio spazio per gli oggetti e, oltre al cassetto in plancia e a quello tra i sedili con doppia apertura, un vano superiore in plancia con apertura a scatto. Al centro lo schermo da 8,4" del sistema multimediale con il sistema UConnect che comprende Android Auto e Apple CarPlay e serve pure da monitor per la telecamera posteriore. La funzionalità dei comandi è buona, compresi quelli (numerosi) sul volante, ma l'ergonomia non è il massimo, principalmente per la ridotta lunghezza della seduta che affatica nelle lunghe percorrenze. Sempre in ottica comfort, il motore si fa sentire nonostante la rapportatura lunga. Il cruscotto è di facile lettura, con un display digitale al centro e due strumenti analogici per tachimetro e contagiri ma la grafica è un po' datata. Sul tunnel centrale la leva del cambio automatico (al volante ci sono le anche le palette) e il commutatore del Selec-Terrain, che adatta la trasmissione alla marcia sui diversi tracciati e al modo di guidare.



La meccanica impiega i motori Diesel di 2,2 litri a 4 cilindri da 150 e 195 CV, il primo a sola trazione anteriore (una primizia in Jeep) e accoppiato a un cambio manuale a 6 marce, il secondo con trazione integrale e cambio automatico a 9 rapporti; più avanti ci sarà anche il benzina da 270 CV. Per il test ho scelto una Overland con trazione integrale e (in opzione) le ridotte e l'Hill-descent Control che stabilizza la velocità in discesa. In un breve tracciato fuoristrada ne ho apprezzato la motricità nonostante la gommatura 235/50 prettamente stradale, anche se il sottoscocca non completamente libero (la marmitta centrale ingombra) consiglia lente andature senza sfruttare la brillantezza del motore. Il cambio a 9 marce non è velocissimo negli innesti ma l'ampio numero di rapporti consente di ridurre consumi e usura abbassando il regime del motore a ogni andatura, motore che peraltro gira già piuttosto piano: la potenza massima è erogata a 3.500 giri, mentre la coppia massima di 450 Nm arriva a 2.000.



Su strada la Cherokee si comporta come una anteriore, anche perché il 4WD viene escluso nella marcia normale ed entra in azione solo in caso di differenza di velocità tra gli assi; se si inseriscono le ridotte la trazione sulle 4 ruote è invece permanente. E' prevista anche la possibilità di blocco del differenziale posteriore, ma solo sulla Trailhawk. La vettura non è proprio un peso piuma (2.494 kg) e il sottosterzo in curva è perciò normale, ma le sopensioni fanno il loro dovere in maniera ottimale, con un assetto sicuro e stabile e un notevole assorbimento delle asperità che rende la guida scorrevole anche sulle tante buche delle strade italiane. Il cambio sgrana le marce con regolarità e lo sterzo è abbastanza preciso, comunque adatto al tipo di auto. L'ampio tetto in cristallo con doppi vetri e apribile elettricamente rende i viaggi ancora più piacevoli e i consumi sono (secondo il computer di bordo) ragionevoli: la Cherokee fa in media tra i 10 e i 12 km/litro che per dimensioni, peso e potenza è una percorrenza ragionevole. I prezzi partono da 43.000 € e a parità di dotazione la nuova serie costa meno della precedente; l'offerta lancio prevede però un modello 2WD a 36.200 €.

10 settembre 2018

Sulla X2 il 4 più potente





















Che il concetto di riduzione dei costi sia in cima ai pensieri di ogni costruttore è assodato. Cambia solo l'approccio, il modo di proporlo alla clientela. BMW non sfugge a tale saving policy, ma riesce sempre a condirla con un tocco tech. Così nella gamma X2, quella realizzata sulla scocca MINI con il motore trasversale, altro step dello storico passaggio del brand dalle posteriori alle più economiche anteriori/integrali, piazza al vertice una versione M di tutto rispetto, ma a quattro cilindri, cosa d'altronde necessaria perché un 6 in linea per traverso nel vano non ci sta. Quindi un 4 in linea ma potente, molto potente, anzi il più potente 2 litri della storia BMW: 306 CV e 450 Nm. La nuova X2 M35i scatta da 0 a 100 in 4,9 secondi grazie al launch control, ha la trazione integrale e il cambio automatico a 8 marce ZF e alle ruote anteriori sfoggia un differenziale autobloccante, il che la dice lunga sulla ripartizione della coppia tra i due assi. Ruote da 19 e assetto ribassato di 10 mm completano la dotazione, che comprende l'abituale paccata di connessioni e features dell'infotainment. Piccola considerazione. Secondo la fisica, perché un'auto vada davvero forte, oltre ai cavalli, occorre che il baricentro sia il più basso possibile e che la carrozzeria offra la minor resistenza all'avanzamento. Esattamente il contrario di Suv&C, che però sono ormai il segmento dominante. Allora le supervitaminizzate cosa c'entrano? Ma io sono antico e sicuramente mi sfugge il nocciolo.

07 settembre 2018

Voglia di TVR









Sei uno yankee ma le tue ctonie radici wasp ti spingono ad amare non già le muscle car ma le inglesi di razza? Sei perdutamente invaghito delle TVR ma tra fallimenti e ripartenze a rilento dell'azienda il sogno di comprartene una temi rimarrà tale? Se la risposta a entrambe le domande è sì allora c'è una soluzione e te la fornisce la Grex Automotive. La società americana infatti ha realizzato un kit di montaggio della Sagaris, una delle più belle e selvagge coupé del marchio (foto sotto), che consta di 14 livelli, con l'obbligo di comprare i primi 4 assieme. Una filosofia in linea con il più puro stile brit, quindi, dove prima dell'ingresso nella UE le scatole di montaggio furoreggiavano e forse con la Brexit  avranno un ritorno di fiamma (e di ricoveri in ospedale). Quindi è possibile dilazionare i pagamenti e montarsi l'auto con calma in un periodo di tempo a scelta, anche se in tal caso i costi di spedizione, avvertono dalla Grex,  potrebbero salire tanto da raggiungere quasi quelli dell'hardware. Se invece volete tutto e subito basta sganciare 58.070 $ e la Grex Sagaris in scatola ve la consegnano a casa. Ah, dimenticavo. Il kit non comprende motore e trasmissione, cui dovrete provvedere voi. Non ho sottomano un listino dei V8 GM, quelli previsti dal progetto per l'installazione, ma ho l'impressione che sarà difficile cavarsela con un assegno aggiuntivo di meno di 20.000 $. Quindi la Grex Sagaris sfiora gli 80.000; a questo punto occorre però fare il confronto con la la rinata Griffith, che è in dirittura di arrivo sul mercato e il cui prezzo dovrebbe partire da 100.000 $. Beh, io un pensierino all'originale (peraltro già bell'e montato) ce lo farei.

La prima Hellcat AWD è della polizia





La Armorax è una società che ha sede nello Utah e che si occupa della
blindatura di veicoli. Il loro catalogo va dagli autobus alle Tesla e,
data la collocazione negli States, anche il segmento delle auto
destinate alla polizia è uno dei loro business. Con questa Dodge hanno
davvero fatto il botto, perché si tratta di una Charger SRT Hellcat,
quella equipaggiata con lo stesso V8 sovralimentato da 717 CV della Challenger.
Le Charger sono già abbastanza diffuse tra i corpi di polizia US, le Hellcat molto meno, ma questa ha una particolarità unica: è a trazione integrale, conversione attuata internamente dalla Armorax che consente (in teoria) anche allo
sceriffo di controllare la potenza animale dell'oggetto. La dotazione fa poi invidia alla Aston di James Bond: oltre agli svariati alberi di Natale luminosi, ci sono pneus antiforatura, blindatura resistente alle pallottole, organi meccanici antisfondamento e protezione antischegge, oltre al consueto ariete anteriore collegato alla scocca per agire fisicamente sulle auto da bloccare. Il prezzo non è disponibile perché viene fatto sulla base di una richiesta specifica e per numero di pezzi, ma sarà probabilmente oltre i 100.000 $, considerato che la vettura base costa 65.345 $. Ma, ammesso che una di queste Hellcat arrivi a fine vita operativa ancora tutta intera, saranno interessanti gli usati, unici AWD sul mercato.

06 settembre 2018

Opel Corsa GSi. A volte ritornano































E' dal 2012 che le letterine magiche mancano dalla gamma della Corsa. L'ultima GSi era una turbodiesel di 1.6 litri con 150 CV; per la nuova versione i cavalli sono gli stessi ma erogati da un millequattro a benzina. L'auto è compatta per come si intendono queste auto oggi, che sono tutte cresciute di stazza: i 4,021 m sono quindi nella norma. La linea non è modernissima ma gradevole con la sua forma a ovetto;  spiccano le appendici aerodinamiche che sottolineano l'ambizione sportiva della vettura: spoiler sopra il lunotto, scarico cromato sulla sinistra, modanature laterali, specchietti carbon look e grande griglia anteriore. Sul cofano una finta presa d'aria, mentre i cerchi sono da 17 pollici di serie, con l'opzione di quelli da 18 calzati 215/40. Complessivamente una profilatura certo non molto discreta ma nemmeno troppo ignorante. Vano bagagli capiente, da 280 a 1.090 litri reclinando i sedili e ben sfruttabile.





Dentro l'abitacolo delle altre Corsa, impreziosito principalmente sul modello in prova dai sedili Recaro a richiesta (modello base manuale, però). Seduta ottima con il tipico orientamento verso l'alto e tenuta laterale al livello della fama del marchio professionale. Lo schienale che ingloba i poggiatesta ha pure le due finestrature per le cinture da corsa a 4 punti (che però ovviamente non sono fornite). Plancia funzionale e ben rifinita, con i comandi un po' sparsi; fatta l'abitudine comunque nessun problema. Il cruscotto ha due strumenti analogici e un display centrale multifunzione che integra pure le indicazioni sullo schermo centrale del navigatore; in particolare ricorda a chi guida i limiti di velocità letti con il sistema di riconoscimento dei cartelli stradali. L'infotainment comprende i sistemi Apple CarPlay e Android Auto per interfacciare lo smartphone; volante in pelle tagliato in basso, pomello del cambio pure in pelle, pedaliera in  alluminio.



Da una macchinina così ci si aspetta un comportamento davvero sportivo, anche se non estremo come sulle OPC; quindi giro di chiave e via sulla Route des Crȇtes, bel tracciato francese nei Vosgi accanto al confine tedesco. Il piccolo EcoTec a quattro cilindri è molto silenzioso e anche in marcia si avverte davvero poco, il che fa della GSi un'auto adatta anche alle trasferte offrendo un discreto comfort. Eroga 150 CV a 5.000 giri con una coppia massima di 220 Nm tra 3.000 e 4.500. A dispetto della ridotta cilindrata non ha un avvertibile ritardo di risposta al gas, ma mostra la propria brillantezza principalmente ai medi regimi, tra i 3.000 e i 4.000 giri. Inutile spingere di più, perché Opel ha previsto che il boost avvenga proprio in questa zona ed è così che si ottengono le migliori prestazioni. Il cambio è rapportato di conseguenza e mostra quindi le 6 marce tendenzialmente lunghe; mostra poi una manovrabilità adeguata ma con le corse di innesto un po' lunghe.



La migliore dote della GSi sta nell'ottimo grip, che ho avuto modo di valutare su strada bagnata con rarissimi interventi del controllo di trazione. L'avantreno scarica infatti assai bene la coppia e la progressività di erogazione del motore aiuta notevolmente nelle accelerazioni. La Corsa è scattante ma non  bruciante: lo 0-100 viene coperto in 8,9 secondi e la velocità massima di 207 km/h si raggiunge dopo un certo lancio. Lo sterzo si mostra adeguato alle cartteristiche dell'auto quanto a precisione, mentre l'uso del freno richiede un minimo di adattamento perché il pedale mostra un  attacco un po' brusco; facile il punta tacco. L'assetto assai rigido non è però tale da determinare saltellamenti e la GSi migliora con la velocità: andando forte le percorrenze in curva sono stabili e in auostrada ci si sente sicuri anche sfilando le altre auto a forte andatura. Nel corso del test, svolto principalmente su un percorso montano, il consumo si è mostrato più che ragionevole: la Casa dichiara una media tra 18,2 e 19,6 km/litro, percorrenze tutto sommato raggiungibili ma solo abbassando il ritmo.

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