23 dicembre 2021

Un Natale col botto

 

Quelli che si divertono a distruggere oggetti in genere sono gli Yankee; stavolta però tocca un finlandese, che è arrivato a odiare la sua Tesla Model S.

Alzi la mano chi non ha mai avuto voglia di disintegrare un oggetto di sua proprietà che si rifiutava di funzionare. Pulsioni neanderthaliane che vengono subito frenate dal nostro cervello sapiens, ma che ci tolgono quella gioia primordiale e selvaggia conseguente alla cancellazione del bene divenuto nemico.

Beh, il finlandese Tuomas Katainen invece si è tolto lo sfizio. Aveva comprato da qualche mese una Tesla Model S del 2013, ma dopo soli 1.500 km l’auto ha smesso di funzionare e ha dovuto ricorrere a un carro attrezzi per tornare a casa. All'assistenza Tesla gli hanno detto che l'unica soluzione era la sostituzione completa dell'accumulatore per un esborso di 20.000 euro, dato che la garanzia di 8 anni era scaduta.

A questo punto Katainen ha represso la rabbia, contattato una società di demolizioni con esplosivi e organizzato un vero e proprio set cinematografico per filmare l'evento, con tanto di telecamere ad alta velocità per i rallenty e addirittura un elicottero, che oltre ad aiutare con le riprese ha fatto cadere dall'alto un manichino con le sembianze di Elon Musk, tanto per avere anche un colpevole virtuale.
Poi una precisa organizzazione dell'evento, con l'auto portata nella cava in disuso cava di Jaala e i 30 kg di dinamite collocati solo da un lato dell'auto allo scopo di orientare la potente onda d'urto verso la parete di roccia, lasciando in zona di sicurezza la postazione di operatori e spettatori.
Quindi godetevi il botto di Natale, con la Tesla che si riduce davvero a pezzettini e una volta tanto non per colpa sua.

22 dicembre 2021

Fuga in avanti

 


Le restrizioni comunitarie sull’auto vengono imposte con l’intento dichiarato di porre rimedio ai danni ambientali. Peccato sia tutto un teatrino della politica privo di senso della realtà.

Il mondo cambia di continuo e non sempre in meglio, ma tutto dipende dalla prospettiva. E’ un fatto che sia così da milioni di anni e che innumerevoli razze e specie abbiano dovuto cedere il posto ad altre. Logico dunque che l’umanità si tuteli rispetto a eventi cataclismici e modifiche peggiorative dell’ecosistema, ma il kernel della questione è che il problema sia ben posto; non voglio tirare in ballo Cauchy ma qui è davvero difficile sostenere che esista una soluzione univoca al problema e ciò vale in particolare per il mondo dell’automobile.

Con Fit for 55 la Commissione europea vuole ridurre del 55% le emissioni di CO2 entro il 2030, con l’obiettivo di arrivare al loro annullamento nel 2050. Un obiettvo tanto ambizioso quanto irrealistico e nondimeno dannoso per l’economia dei diversi Stati e per quella dei singoli individui.
Il solito teatrino della politica, che per sua natura è sempre in ritardo rispetto ai bisogni ma soprattutto non si dota dei mezzi per acquisire informazioni circostanziate e soprattutto realistiche sugli argomenti oggetto di legislazione.

Così la spinta del tutto artificiale verso le auto elettriche non si accompagna ad altrettanto impeto verso l’infrastruttura di ricarica, essenziale perché le vetture a batteria possano anche solo somigliare a un vero mezzo di trasporto e non di fatto essere costosi giocattoli utilizzabili a spot. D’altronde, se ci pensate, la ratio di tutto ciò è semplice.
Facile porre diktat alle Case sfruttando la loro coda di paglia su emissioni e test di controllo. Parecchio più impegnativo invece avere a che fare con le società elettriche di distribuzione per spingerle a implementare la rete delle colonnine. Nel primo caso gli interlocutori sono aziende private che si remunerano direttamente dalla vendita dei loro prodotti, nel secondo imprese, spesso a partecipazione statale, che pesano sui bilanci dei rispettivi Paesi e che di questi tempi devono fare conti con i produttori di energia e con la crisi di materie prime e combustibili.
Sì, perché slogan a parte, produrre continuativamente corrente con le sole rinnovabili resta un sogno verde, se ne rendano conto i paladini dell’ambiente poco avvezzi al principio di realtà.
Se poi aggiungiamo al conto le centinaia di migliaia di posti di lavoro in pericolo a causa del passaggio alle batterie, ci vuol poco a rendersi conto che il wishful thinking della UE è sempre più distante dalla realtà. Non per ripetermi, ma il concetto è sempre lo stesso, parodiato alla battuta medica “l’operazione è riuscita ma il paziente è morto”.

Riassumendo: per il passaggio alle BEV la UE ha previsto in maniera del tutto teorica e deterministica l’installazione di 3,9 milioni di colonnine; la ACEA, associazione dei costruttori europei di auto, ritiene invece ne siano necessarie almeno 7 milioni. Non si tratta di mera ritorsione ma di analisi fatte da chi conosce la realtà oggettiva.
DI qui la richiesta alla UE di aspettare fino alla prossima revisione nel 2028 per decidere la road map degli eventi dopo il 2030. Nel frattempo l’Unione dovrà schiarirsi le idee sui numeri legati ai caricatori pubblici e sul come alimentarli, cercando di capire se e come le rinnovabili possano essere adottate per la loro alimentazione in concreto e non tramite artifici contabili e/o scambi di crediti di emissione. Poi servono più incentivi per gli automobilisti ma soprattutto bisogna garantire loro la mobilità con quello che c’è.

Rocambole à Paris

 


Era fuori servizio e andava al ristorante con la famiglia. Non è ancora chiaro se il tassista parigino apparenente alla compagnia Taxi G7, una delle più grandi di Parigi, guidava la sua Model 3 oppure lasciava fare all’Autopilot, fatto sta che arrivando a un feux rouge la vettura invece di frenare ha accelerato, impegnando l’incrocio proprio mentre sopraggiungeva un ciclista, che nel violento urto conseguente alla forte accelerazione del mezzo ha perso la vita.
L’auto impazzita ha poi proseguito investendo altre 20 persone, tre delle quali versano in condizioni critiche, per finire la corsa schiantandosi contro un furgone in sosta, il tutto senza che il tassista potesse correggere la traiettoria.

Le indagini sono in corso, ma dalla dinamica del sinistro ci sono forti indizi che la guida fosse affidata all’automatismo di Tesla, l’Autopilot e che il tutto sia la conseguenza dell’ennesimo malfunzionamento del sistema, stavolta pagato a caro prezzo.
La compagnia Taxi G7 ha sospeso immediatamente dal servizio tutte le Tesla; secondo una dichiarazione ufficiale i proprietari dei 37 veicoli, che prestano servizio in franchising per la compagnia, saranno risarciti per il fermo auto in attesa dell’esito dell’inchiesta.

Potrei dire che siamo alle solite. Parafrasando, mi sembra una situazione analoga all’introduzione dei telai meccanici nel XIX secolo, quando le messa a punto dei macchinari fu fatta a suon di vittime straziate dai meccanismi allora privi di dispositivi di sicurezza.
Quanti incidenti dovranno accadere dunque prima che l’Autopilot sia davvero messo sotto inchiesta? Certo, il fatto che per Time Elon Musk sia l’uomo dell’anno la dice lunga sulla rete di interessi attorno all’azienda americana e ai suoi prodotti, quindi non c’è da aspettarsi che quella che di fatto è una sperimentazione del sistema fatta sul campo subisca battute d’arresto.

Resta perciò il dubbio che il concetto in toto sia da rivedere. Da un lato la pretesa che un sistema di intelligenza (quasi) artificiale possa sostituirsi alla guida umana in ogni condizione, con la sola ipocrita salvaguardia di dover tenere le mani sul volante, condizione che, l’abbiamo accadere in numerosi incidenti, può essere tranquillamente aggirata dai conducenti fenomeni che vogliono farsi un sonnellino mentre l’auto li porta in giro.
Dall’altro le fortissime accelerazioni delle auto elettriche pongono alla portata di molti prestazioni un tempo proprie solo delle supersportive e aumentano i rischi per guidatori non preparati a gestirle.
Se qualcuno mi spiega cosa ci sia di eco o green in tutto questo…

Reduce to the max

La transizione elettrica implica anche il ridisegno dei confini di cosa intendiamo per veicolo; così anche i quadricicli guadagnano il diritto ad avere le loro concept, come questa Citroën Ami Buggy

La circolazione urbana è sempre più intensa, in parte per motivi connessi a economia e logistica, in parte per il covid, ma anche per le scelte di alcune amministrazioni talebane che vedono la mobilità privata come il fumo negli occhi.
In ogni caso, resta la considerazione che per muovere il peso di una persona, diciamo in media sui 75 kg, sia davvero uno spreco utilizzare un veicolo da oltre una tonnellata e mezza. E badate che in quest’ottica le auto elettriche non risolvono, visto che pesano grosso modo almeno 1,5-2 volte quelle convenzionali.

Ma c’è una soluzione che in potenza ha le doti necessarie alla bisogna, l’uso dei quadricicli. Certo hanno solo due posti, ma se vi guardate intorno nel 90% delle auto che incontrate c’è solo una persona.
Citroën ha intercettato questo filone con la sua AMI, il quadriciclo urbano destinato anche ai 14ennni che ha già avuto la sua parte di successo, visto che le consegne ufficiali sono ormai a 15 settimane.

Un po’ giocattolo, un po’ veicolo utilitario, incarna già nella versione standard la vocazione al tempo libero e, fatti i conti con potenza e autonomia, anche uno spicchio di avventura.
Quindi ecco My Ami Buggy Concept, prototipo che si distingue per elementi che mettono in evidenza una vocazione simpatica e avventurosa sottolineata dall’assenza di portiere, sostituite da teli trasparenti impermeabili con chiusure lampo che come nella Méhari possono essere riposte in apposite custodie.

Una micro-mobilità da spiaggia, dunque, con elementi tratti da giochi di costruzione e una vocazione al tempo libero sottoilineata dalla barra luminosa sul tetto che promette falò in spiaggia allietati dalla musica diffusa da un altoparlante portatile.

Una versione minimalista ma non troppo, quindi, che tuttavia non può evitare di fare i conti con un’autonomia molto ridotta, soggetta inoltre a ulteriori riduzioni se il percorso è off road, e prestazioni davvero scarse, soprattutto se per raggiungere la spiaggia occorre fare un po’ di strada.

Ma resta un bel progetto, piacevole e decisamente molto natalizio.

Comfort misuse

C’è sempre un lato B della tecnologia. Come quello che hanno scoperto i ladri d’auto yankee per il traccatore prodotto dalla Apple.

Nato per i distratti cronici, quelli che perdono tutto, l’Apple AirTag ha trovato presto un uso più “professionale“. In Canada infatti sono emersi recentemente rapporti di polizia che affermano come i ladri li stiano usando per contrassegnare e rintracciare i veicoli che in seguito vogliono rubare. La storia di solito inizia con una persona che ha parcheggiato la propria automobile in un parcheggio pubblico e con un ladro che l’ha presa di mira. L’AirTag viene quindi messo sul veicolo in un punto nascosto e il criminale attende poi di sapere dove la vettura sarà parcheggiata per la notte per compiere il furto.
Certo, si tratta solo di un localizzatore che non elimina la procedura per aggirare l’immobilizzatore o gli antifurto installati sul veicolo, ma di fatto fa venire meno uno dei principali deterrenti contro i furti, la perdita di vista dell’auto. Se pure la vostra costosa e rara automobile sia facilmente oggetto di cattive intenzioni, il fatto che una volta a casa scompaia alla vista o comunque alle attenzioni del malintenzionato dà una certo livello di sicurezza “statistica”.

Apple ha messo sul mercato ad aprile il dispositivo, delle dimensioni di una moneta, per aiutare le persone a tenere d’occhio chiavi, bagagli e un numero qualsiasi di altri oggetti personali. Ma la delinquenza è molto abile a sfruttare la tecnologia a proprio vantaggio e così si è diffuso l’impiego dell’AirTag come ausilio per criminali che prendono di mira auto di alta gamma, considerate eventualmente anche solo come “indicatore” di una una casa dove si siano beni che vale la pena di rubare.


Da settembre la polizia regionale canadese di York ha indagato su cinque casi in cui i ladri hanno posizionato dispositivi di localizzazione su veicoli di alta gamma in modo da poterli successivamente individuare; l’abitudine americana di parcheggiare l’auto sul vialetto rende poi più agevole l’intera operazione. Una volta all’interno dell’auto, infatti, i malintenzionati possono usare un riprogrammatore della centralina tramite la presa OBD per abilitare una chiave che hanno portato con sé e il gioco è fatto.
Una nuova edizione della tradizionale battaglia tra guardie e ladri, cui contribuisce questa volta la tecnologia Apple, ritenuta più efficace nella localizzazione di altri prodotti analoghi. Le ridotte dimensioni dell’AirTag, rendono facile nasconderlo sulla vettura e anche se sull’iPhone del proprietario arriva la nortifica di essere oggetto di un tracciamento è facile che il dispositivo non venga comunque individuato; c’è stato un caso in cui era stato addirittura introdotto nel serbatoio del carburante, opportunamente protetto da un sacchetto impermebaile.

Cambieranno le cose con le prossime auto elettriche? Non ci giurerei, perché da sempre l’ingegno progettuale e quello criminale vanno di pari passo.

Solo inutili o anche pericolose?

I test di guida autonoma proseguono tra difficoltà tecniche, indagini, e trascurabile impatto economico. C'è da domandarsi se si tratti ...